Firmino
12 set 2021
Un vero e proprio inno all’amore per la lettura dal finale struggente e malinconico
Se credete di essere degli autentici topi di biblioteca non avete ancora letto Firmino di Sam Savage. La vicenda è raccontata in prima persona proprio da lui, questo topolino fragile e malaticcio nato negli anni Sessanta da una pantegana ubriacona che ha dato alla luce tredici figli in una libreria di Boston. Il caso vuole, però, che la madre snaturata abbia solo dodici mammelle: indovinate quale tra i suoi piccoli roditori resterà senza cibo?
Firmino decide di non arrendersi e, per sopravvivere, comincia a mangiare i libri che vede attorno a sé. Stranamente, non tutti hanno lo stesso sapore; dunque, per capire quali sono i più buoni, decide di leggerli.
L’avvicinamento di Firmino alla lettura andrà di pari passo con l’allontanamento dai suoi simili. Nessun topo di sua conoscenza potrà mai competere con i grandi eroi della letteratura, e così il nostro protagonista sviluppa un’insolita curiosità per tutto ciò che riguarda il genere umano.
Ben presto scoprirà che l’immagine che ha di sé stesso non è quella che gli uomini vedono, e prima di essere accettato – sebbene mai come un essere alla pari – da uno di loro dovrà subire tanti rifiuti. Infine, Firmino sarà costretto a constatare che i libri e il sapere che da essi deriva gli hanno, sì, aperto la mente, ma allo stesso tempo lo hanno condannato a una ineluttabile solitudine.
| Autore | Sam Savage |
|---|---|
| Traduttore | Evelina Santangelo |
| Editore | Einaudi |
| Collana | Super ET |
| Anno edizione | 2009 |
| Stato di lettura | Finito |
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1 apr 2022
Una fiaba surreale che ci parla di libertà femminile e ostinazione amorosa
Nel primo pomeriggio del gennaio 1880 Mr e Mrs Tebrick vanno a passeggiare, come loro solito, sulla piccola collina boscosa nei pressi della loro abitazione. A un tratto si odono i segugi, poi il corno del cacciatore in lontananza; Silvia Tebrick, spaventata, lascia la mano del marito lanciando un grido, lui si volta a guardarla e… “Dove un istante prima si trovava sua moglie, adesso c’era una piccola volpe di color rosso acceso”.
È così che inizia La signora trasformata in volpe di David Garnett, una storia che offre vari spunti di lettura. Per comprenderne meglio la genesi, dobbiamo sapere che l’autore era un esponente del Bloomsbury Group, quel gruppo di intellettuali che nei primi trent’anni del Novecento si situò al centro del dibattito culturale in Inghilterra. Uno dei punti cardine della loro filosofia era il rifiuto delle convenzioni borghesi dell’epoca, tra le quali la suddivisione tra ruoli maschili e femminili. L’indipendenza della figura femminile risulta centrale per lo sviluppo della storia.
In seguito all’eccezionale trasformazione della moglie, Mr Tebrick cercherà in tutti i modi di trattarla come quando aveva sembianze umane, preoccupandosi ogni giorno di lavarla, profumarla e vestirla. Se inizialmente i due coniugi riescono a conservare alcune delle vecchie abitudini come fare colazione, giocare a carte o guardare vecchie foto, ben presto la natura selvatica della volpe avrà il sopravvento. A nulla serviranno i tentativi di Mr Tebrick di tenerla in casa per proteggerla dai cacciatori: Silvia fuggirà nel bosco e non tornerà più indietro.
Dunque, davvero tutto è perduto? In realtà, no. I sentimenti di Mr Tebrick nei confronti della sua Silvia muteranno, ma non si indeboliranno. Il senso di possesso iniziale si arrenderà al desiderio di libertà della moglie, fino a portarlo a stravolgere la sua vita per starle accanto. Questa fiaba delicata e, a suo modo, leggera ci insegna che l’amore trova sempre una strada per tenerci unitǝ a qualcunǝ.




