Maschio bianco etero
19 giu 2021
Uno scrittore irriverente e donnaiolo dovrà fare i conti con i fantasmi del passato
Chi di voi ha letto qualche libro di Charles Bukowski probabilmente rivedrà più di una sua peculiarità in Kennedy Marr, lo scrittore protagonista di Maschio bianco etero di John Niven.
Io, invece, durante la lettura non potevo fare a meno di pensare a Hank Moody, il personaggio principale della serie TV Californication interpretata da David Duchovny. Kennedy e Hank, infatti, hanno molto in comune: entrambi sono scrittori, conducono una vita sregolata, sono dei donnaioli impenitenti, si trasferiscono in California (anche se il primo la ama e il secondo la odia), devono accettare dei compromessi lavorativi e hanno un passato sentimentale con cui fare i conti.
Ma non temete: anche se non avete mai sentito parlare di nessuno dei due, la lettura di questo romanzo vi risulterà comunque godibilissima. La scrittura di Niven è ironica, pungente, agile, accattivante. Il personaggio di Kennedy ha tutte le carte in regola per farsi odiare – sboccato, egoista, narcisista – ma finirà per suscitare tenerezza.
Il colpo di scena finale conferisce il giusto spessore a un racconto che, solo in apparenza, può risultare frivolo.
Autore | John Niven |
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Traduttore | Marco Rossari |
Editore | Einaudi |
Collana | Super ET |
Anno edizione | 2015 |
Stato di lettura | Finito |
- Come se il mondo per te non fosse allineato nel modo giusto. -
Kennedy rimase colpito dal fatto che fosse un'ottima definizione del motivo per cui cominciavi a scrivere. Qualcuno arrivava prima di te e stabiliva delle regole che a te non andavano bene. - In culo alle regole. - Il caos e la follia potevano trovare una forma narrativa e, mentre il castello di carte diventava un castello di «splendido vetro e acciaio», mentre la «disparità tra la mente conscia e quella inconscia» veniva attenuata, per un breve periodo, tra due copertine, da pagina 1 a quello che era, potevi far ballare il mondo con la tua musica. Certe volte sembrava che per vent'anni lui non avesse fatto altro: far crollare il posto a suon di urla. Di ululati. Però non potevi ripararlo. L'arte poteva reagire alle grida ma la vita faceva spallucce e se ne andava per i fatti suoi.
[p. 306]
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