La peste
29 ago 2021
Una vicenda tristemente attuale che, nonostante tutto, ci lascia con un messaggio di speranza
La stagione estiva si avvia alla sua conclusione e anche se per un po’ abbiamo potuto mettere da parte le nostre preoccupazioni riguardanti la situazione sanitaria mondiale, ben presto dovremo affrontare nuovamente ansie e timori.
Così se finora ho preferito soffermarmi su altre storie, forse sperando in una vera svolta, ora mi pare di non potermi più esimere dal parlarvi di questo classico maledettamente contemporaneo: La peste di Albert Camus.
La vicenda è ambientata a Orano, una città mercantile dell’Algeria nella quale negli anni ’40 del secolo scorso (l’anno preciso non viene volutamente indicato) dilaga un’improvvisa moria di ratti. i cittadini, abituati a dedicarsi solo al lavoro e agli affari, inizialmente non daranno peso a queste morti sospette, non potendo immaginare che sono solo le prime avvisaglie dell’epidemia che si abbatterà sulla loro città.
Ho acquistato questo libro molti anni fa e, come faccio sempre, ho aspettato che arrivasse il suo momento. E quel momento non è mai stato più azzeccato: prima di allora, non mi era mai parso di vivere in prima persona una situazione così simile a quella descritta dall’autore. In particolare, tra i protagonisti ho ritrovato tutte le figure professionali che hanno avuto più rilevanza nella cronaca pandemica attuale: il medico, il giornalista, il commerciante… nonché tutti gli stati d’animo che si sono susseguiti durante questi lunghi mesi: paura, follia, speranza, rassegnazione, indifferenza, abnegazione.
In effetti, questo romanzo nasce come allegoria della Seconda Guerra Mondiale. Chissà se l’autore avrebbe mai immaginato che, 70 anni dopo, sarebbe stato capace di descrivere quasi per filo e per segno la realtà.
Autore | Albert Camus |
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Traduttore | Beniamino Dal Fabbro |
Editore | Bompiani |
Collana | Tascabili |
Anno edizione | 2010 |
Stato di lettura | Finito |
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1 apr 2022
Una fiaba surreale che ci parla di libertà femminile e ostinazione amorosa
Nel primo pomeriggio del gennaio 1880 Mr e Mrs Tebrick vanno a passeggiare, come loro solito, sulla piccola collina boscosa nei pressi della loro abitazione. A un tratto si odono i segugi, poi il corno del cacciatore in lontananza; Silvia Tebrick, spaventata, lascia la mano del marito lanciando un grido, lui si volta a guardarla e… “Dove un istante prima si trovava sua moglie, adesso c’era una piccola volpe di color rosso acceso”.
È così che inizia La signora trasformata in volpe di David Garnett, una storia che offre vari spunti di lettura. Per comprenderne meglio la genesi, dobbiamo sapere che l’autore era un esponente del Bloomsbury Group, quel gruppo di intellettuali che nei primi trent’anni del Novecento si situò al centro del dibattito culturale in Inghilterra. Uno dei punti cardine della loro filosofia era il rifiuto delle convenzioni borghesi dell’epoca, tra le quali la suddivisione tra ruoli maschili e femminili. L’indipendenza della figura femminile risulta centrale per lo sviluppo della storia.
In seguito all’eccezionale trasformazione della moglie, Mr Tebrick cercherà in tutti i modi di trattarla come quando aveva sembianze umane, preoccupandosi ogni giorno di lavarla, profumarla e vestirla. Se inizialmente i due coniugi riescono a conservare alcune delle vecchie abitudini come fare colazione, giocare a carte o guardare vecchie foto, ben presto la natura selvatica della volpe avrà il sopravvento. A nulla serviranno i tentativi di Mr Tebrick di tenerla in casa per proteggerla dai cacciatori: Silvia fuggirà nel bosco e non tornerà più indietro.
Dunque, davvero tutto è perduto? In realtà, no. I sentimenti di Mr Tebrick nei confronti della sua Silvia muteranno, ma non si indeboliranno. Il senso di possesso iniziale si arrenderà al desiderio di libertà della moglie, fino a portarlo a stravolgere la sua vita per starle accanto. Questa fiaba delicata e, a suo modo, leggera ci insegna che l’amore trova sempre una strada per tenerci unitǝ a qualcunǝ.